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Lu Cinema – prima parte

Le molteplici e talvolta estemporanee attività del mio nonno materno fecero sì che crescessi in una casa, costruita con le sue mani, che custodiva al suo interno un molino ormai in disuso, con le macine ferme.  Fu luogo di giochi solitari e inenarrabili architetture fantastiche.  Erano invece in funzione le macine del nuovo molino accanto alla mia casa. Reali, rumorose, piene di grano, di farina e di vita.  Macinare, finzione e/o realtà, nella mia infanzia era quindi fonte di ispirazione primaria.  Fu ad esempio proprio ripetendo a raffica la parola “macine” che scoprii il cinema. Dapprima solo come parola; quando poi conobbi cos’era, rimasi incantato.  (P.B. “Le mie memorie apocrife”)

Il cinema

Come, dove e quando nasce il cinema, inteso estensivamente come tecnica e arte, non è difficile da sapere.  Così per quanto riguarda i suoi progressi, il suo impatto sull’immaginario e sulla vita reale.  Se uno si destreggia nella lettura di queste righe su supporto digitale, è evidentemente in grado, se ne ha voglia, di cercare e trovare in rete un’ampia rassegna di ciò che riguarda il meraviglioso mondo della celluloide

Per scavare invece nel profondo della nostra storia, per conoscere quando e come capitò l’incontro tra Esanatoglia e il cinema, di come questo fece irruzione nella vita del nostro paese e in che modo via via accompagnò diverse generazioni di esanatogliesi, lo vedremo qui, in una ricostruzione purtroppo parziale per la carente e lacunosa documentazione, ma sufficiente, a me sembra, a delineare un percorso, a suscitare interesse, a stimolare ricordi e anche supplementi di ricerca.

E’ la parabola storica di un inarrestabile sviluppo, di una fase di massimo splendore e di un inevitabile declino che culmina, mestamente come ogni fine, nella chiusura delle piccole sale di paese (e non solo), e che la cinematografia italiana ha consacrato con film come “Nuovo Cinema Paradiso” (1988, di Giuseppe Tornatore) e “Splendor” (1989, di Ettore Scola).  Il significato e il valore di certe sensazioni, di certe esperienze, di quel mondo ormai quasi del tutto svanito, sono così ben espressi in questi lavori che non riusciremmo ad aggiungervi granché. 

Qui cerchiamo di ricostruire una storia, recuperare tracce, fornire dati e spunti per ricucire i fili della memoria locale.  Poi ciascuno, leggendo, si potrà abbandonare a ciò che ha di suo: esperienze, sensibilità, fremiti, rimpianti, collegati a un film, a una data, a una circostanza.

Per i più giovani, che queste emozioni non hanno vissuto, un’occasione di conoscenza, utile magari a interpretare certi cedimenti umorali dei più anziani. 

Parliamo quindi del nostro microcosmo, e da lì partiamo.

Agli albori

Qualche immagine in movimento s’era vista anche da noi in occasione di qualche festa. Già nei programmi della festa di Sant’Antonio di Capriglia che era storicamente la festa campagnola per eccellenza, la più vicace, la più frequentata, negli ultimi anni dell’800 era capitato che tra le varie attrazioni fossero pubblicizzate le esibizioni di “vedutine in movimento“, ma si trattava di astruserie di cui si faceva fatica a capirne il senso, l’utilità. Servivano al massimo a produrre uno stupore di breve durata. Lontani precursori del cinematografo, quei marchingegni avevano nomi difficili (taumatropio, fenachistoscopio, ed altri ancora) di cui si provava a ridurre l’altisonanza chiamandoli anche lanterne magiche, panorami, diorami o ancor più semplicemente “vedutine“.   Si era in quello che venne poi definito come il “pre-cinema“.

 

 

Il cinema, più o meno come lo intendiamo ancora oggi, iniziò il suo travolgente sviluppo negli ultimi anni dell’800, frutto di una pluralità di esperienze ed esperimenti legati a nomi come quello di Thomas Alva Edison, o dei fratelli Auguste e Louis Lumière per quanto riguarda l’aspetto tecnico, e di Georges Méliès e Charles Pathé che intuirono le potenzialità espressive del nuovo mezzo.

L’evoluzione fu rapida, impetuosa, come lo era quello scorcio di secolo e come lo sarebbe stato il secolo a seguire.

In Italia la prima proiezione pubblica risale al marzo del 1896.  Nella nostra regione, ad Ancona nell’ottobre dello stesso anno, a Macerata ai primi di dicembre il Teatro Lauro Rossi ospitò il “Grande Cinematografo Lumière“.  

Chissà se vi furono esanatogliesi che ebbero modo di assistere a qualcuna di quelle proiezioni, oppure ad altre in qualche centro maggiore dove la novità aveva già fatto la sua comparsa.

Magari a San Severino, dove l’avventura del cinema era iniziata al Teatro Feronia fin dal 26 dicembre del 1896, quarta città delle Marche? (Ne parla Alberto Pellegrino in “Storia dello spettacolo a San Severino Marche – Il cinema arriva nel Teatro Feronia”).

O forse a Matelica dove, nei primissimi anni del nuovo secolo, era nato il Cinema Edison o Moderno? (Il prezioso e inesauribile Matteo Parrini ci ha raccontato qualcosa su tal Giovanni Rossi che dal Palazzo del Governo spostò la sua sala, con tanto di orchestrina, a Palazzo Ottoni per maggior capienza;  ma soprattutto della interessante vicenda del Cinema Parrocchiale, ovvero “Cinema Famiglia” nato negli anni ’20. Sono sicuro che prima o poi ne scriverà per esteso).

Un passato che tornava

Comunque sia, la gran parte degli esanatogliesi, per lo meno di quelli che non poterono godere di sortite fuori comune, dovette attendere il 1910 per potersi render conto della magia del cinema, quasi a 15 anni esatti dalla prima celebre proiezione parigina dei fratelli Lumière.

Forse un po’ in ritardo, ma con una particolarità.  Agli occhi degli esterofili, l’avvento dell’era del cinematografo a Esanatoglia si ammanta di un sottile fascino aggiuntivo, perché vi concorre anche un elemento esotico: possiamo dire che per noi il cinema arrivò dal… Sudamerica. Da terre lontanissime quindi, ma al contempo anche dal passato della nostra stessa terra. Da un passato che tornava.

Fu infatti uno degli ultimi rampolli della ormai decaduta notabile famiglia Pauloni-Marini, Settimio Marini da poco rientrato dall’Argentina, il primo a incantare i nostri avi con quelle immagini in movimento che non erano ancora film ma “trattenimenti cinematografici“, seppure ormai non più semplici esperimenti documentari ma storie, racconti, tratti dai grandi romanzi, dall’epica, dalla mitologia.

 

Il casato dei Pauloni (poi Pauloni-Marini)

Antico casato quello dei Pauloni, presente e attivo a Santa Natoglia già nella seconda metà del ‘500; come tante altre famiglie illustri e facoltose si avviò verso il declino a partire dagli inizi dell’800 quando ad ereditare lo scettro di famiglia, ormai già spolpato sia per le mutate condizioni storiche e sociali sia per le altalenanti sorti delle vite degli uomini, rimasero solo due figlie femmine, Santa e Giulia.  La prima andò sposa a Sallustio Sallusti, che da Cantiano era venuto qui a fare il farmacista. 

Giulia invece sposò Giuseppe Marini, benestante originario di Montemarciano di Ancona. Questi, il 25 gennaio del 1869 moriva settantaduenne a Montevenere, in provincia di Genova, nella parte di quella Fortezza del Varignano destinata a Bagno Penale, adiacente alla parte destinata a Ospedale Militare che appena due anni prima aveva ospitato Giuseppe Garibaldi, reduce dalla battaglia di Mentana.  Per quale motivo Giuseppe Marini vi si trovasse recluso, al momento non si sa.  Varrà la pena ricercarne i motivi approfondendo l’indagine negli Archivi di Stato.  La sua scomparsa, avvenuta per di più in quelle particolari circostanze, fu la pietra tombale sulle sorti di un casato rilevante nel panorama storico locale.  Per Giuseppe e per i Marini-Pauloni, un unico discendente, Antonio, le cui residue risorse gli consentirono di dedicarsi allo studio, diventare maestro elementare e metter su famiglia con la gualdese Filomena Sergiacomi.

Da Antonio e Filomena, tre figli morti in tenera e tenerissima età, due figlie femmine, Maria, morta nel 1949, e Giulia, che fu quella che mantenne la casa di famiglia, e due maschi, Marino che se ne andò ammogliandosi a Gubbio, e Settimio, in realtà primogenito, che poniamo a fine elenco della progenie perché riguarda il nostro racconto. 

Settimio, che rilevava il nome di quel trisavolo più volte onorato della carica di Priore del Comune e di altri innumerevoli incarichi pubblici, fu evidentemente spirito libero e, giovanissimo, emigrò in  Argentina dove si improvvisò sarto, sembra di buon livello.   Nel 1892, attingendo nel suo giro, conobbe e sposò l’argentina Emilia Carrayo, “modista”.  Intorno al 1905, forse gli affari che non andarono per il verso giusto, forse un cambio d’orizzonte, indussero la coppia, con due figlioletti piccoli, Antonia e Umberto, a fare ritorno nella terra natìa del capofamiglia e riprendere possesso del palazzo affacciato su quella che nel frattempo era diventata Piazza Leopardi, ora abbellita con una fontana centrale contornata da giovani piante di “castagne marine“. 

 

Piazza Leopardi intorno agli anni ’10 del secolo scorso

Palazzo “ex Pauloni-Marini” (da Google)

Insieme a qualche altro spirito ameno esanatogliese prese ad organizzare, per diletto, pubblici divertimenti a Teatro, segno tangibile d’una indole orientata all’effimero che forse influì sulla decisione di mettersi in proprio e azzardare il grande passo con il nascente cinematografo.

 

Il primo cinematografo

Approfittò dei magazzini del palazzo, di quella che sapeva essere stata l’antica scuderia dei suoi avi e lì iniziò nell’estate del 1910 ad allestire il suo impianto, la sala di proiezione.

L’ingresso della prima sala cinematografica esanatogliese

Una iniziativa del genere non poteva passare inosservata e la notizia circolò e varcò i confini del paese.  Il caso volle che proprio un suo omonimo non parente, il matelicese Assar Marini, nell’ottobre del 1910 facesse richiesta del Teatro Comunale “per fare proiezioni cinematografiche per un periodo di quattro mesi circa“.  Le autorità comunali, incerte sul da farsi in una materia ancora allo stato nascente, tirarono un sospiro di sollievo quando i due Marini stipularono un accordo per effettuare le proiezioni nell’impianto in fase di realizzazione in Piazza Leopardi.   

 

Richiesta di Assar Marini

Fu quindi in quei locali al piano terra, che tanti anni dopo sarebbero diventati il ‘Circolo Giovanile’ di Don Nicola Giacobini e della gioventù “pievaròla”, che tanti esanatogliesi scoprirono il cinema.

Il 17 dicembre 1910, “nel rispetto della solidità e della sicurezza dell’edificio” iniziò la storia del cinema esanatogliese. La breve dichiarazione (una sorta di moderna autocertificazione) con cui Settimio Marini comunica l’apertura, informa anche che le proiezioni del “trattenimento cinematografico” avrebbero avuto luogo “a periodi quindicinali”. 

 

Richiesta di Settimio Marini per l’apertura della Sala Cinematografica

 

L’intero settore non era ancora chiaramente disciplinato da norme specifiche e le autorità comunali, ancora impreparate ad affrontare questa nuova evenienza, si limitarono ad investire del problema l’Agenzia delle Imposte, limitando l’attenzione al solo aspetto fiscale.

Non ci sono documenti, né c’è più memoria di come fosse organizzata e disposta la sala; probabilmente avrà rispecchiato quella che fu poi la struttura del teatrino parrocchiale in funzione ancora fino alla fine degli anni ’50 del secolo scorso.

(Non trattengo una breve digressione personale: sarà stato il 1958 o il 1959, nel teatrino venne rappresentata “La favola di Pollicino” o forse “Puccettino” nella traduzione che Carlo Collodi fece della favola di Charles Perrault; rimasi folgorato dall’Orco mirabilmente interpretato da Paola Gehr che per una breve stagione divenne, a sua insaputa, la mia attrice preferita, nonché fidanzata segreta)

Non conosciamo purtroppo neanche quali fossero le pellicole proiettate, né quanto durò l’attività.  Sappiamo però che inizialmente le proiezioni del “trattenimento cinematografico” costavano 20 centesimi per i primi posti e 10 centesimi per i secondi. 

Non sappiamo inoltre se anche al “CineMarini” o magari “CineMar” (solo ipotesi nostre…) ci fosse il commento musicale in sala come molto spesso si usava per accrescere la partecipazione emotiva dei presenti e l’incanto della sala buia.

Non si immagini un fenomeno di massa.  La frequentazione sarà sicuramente stata riservata a un pubblico prevalentemente ‘cittadino’ e di medie condizioni economiche e sociali.  Quindi una larghissima fascia di popolazione, almeno agli inizi, ne fu esclusa.

La via era comunque segnata e l’iniziativa, come un po’ dappertutto, era destinata ad avere successo e stimolò la concorrenza.  E’ così che si tornò a pensare all’utilizzo del Teatro, sia per avere più spazio a disposizione sia per incorniciare questo nuovo tipo di spettacolo in un ambiente ancor più cònsono della pur rispettabilissima e decorosa sala Marini.

Già nel 1913 vi furono due richieste: per sondare la piazza, Giovanni Rossi gestore del Cinema Moderno di Matelica, richiese il Teatro per una proiezione; un altro matelicese, Pilade Antonelli, a nome della Società Cinematografica Matelica chiese invece che per le sue proiezioni gli venisse riservato il sabato, almeno per un paio di mesi.  

 

Richiesta di Giovanni Rossi

Forse anche per la presenza di questi nuovi personaggi, in apparenza più attrezzati e di più consolidata esperienza nel settore, la figura del pioniere del cinema locale, Settimio Marini, scompare dal nostro orizzonte e con lui le notizie sulla sala di Piazza Leopardi.  Di lui non si hanno più notizie attinenti al cinema.  Sappiamo che, tempo dopo, con tutta la sua famiglia lasciò di nuovo Esanatoglia, stavolta per gli Stati Uniti d’America, e per sempre. 

Dalle scarse documentazioni possiamo arguire che le proiezioni in Teatro fossero comunque sporadiche; quel poco che c’è attiene esclusivamente agli aspetti formali, amministrativi e fiscali.  Nessuna notizia purtroppo sui titoli dei film che vi si proiettavano, né sulla partecipazione del pubblico.

Così scorsero via gli anni fino all’avvento del fascismo che, dopo aver lasciato in un primo tempo la situazione immutata, ritenne di prendere in carico l’attività attraverso la locale sezione del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) e utilizzarla direttamente e indirettamente per il consolidamento del regime.

La presenza di privati che gestivano temporaneamente il Teatro per farvi proiezioni è attestata ancora nell’aprile del 1926, quando Domenico Libani, Sindaco che di lì a poco sarebbe stato sostituito d’imperio dal Podestà, scrive a Annibale Marini (anche questi matelicese, nulla a che vedere con Settimio) diffidandolo per mancato pagamento della SIAE: “mi risulta che questa sera la S.V. proietterà in questo teatro comunale un film cinematografico (sic!)”.

Solo a partire dal 1927 la situazione viene disciplinata, intanto con una ordinanza sul divieto di fumare, perché il rischio d’incendio nelle cabine di proiezione era elevatissimo.  Si concentra sul Teatro e di conseguenza sul cinematografo che ospitava, l’interesse e l’attenzione dei fascisti locali che, pur cresciuti col “me ne frego” verso princìpi fondamentali come la libertà di pensiero, di stampa, ecc., non possono però esimersi, al pari di tutti gli altri, dalla scrupolosa osservanza delle normative sulla sicurezza.    

A luglio del 1927 la Questura precisa quindi che per la richiesta avanzata da Mariano Cappanna, a nome del P.N.F. di cui era segretario amministrativo, occorre “procedere all’impianto della cabina delle proiezioni che dovrà, prima di essere attivata, sottoposta alle ispezioni di controllo da parte della Commissione Provinciale Tecnica di vigilanza”.

Per caldeggiare la pratica il Podestà attesta che “il ricavato delle proiezioni va devoluto al locale Fascio che a sua volta deve erogarlo in opere assistenziali” 

La cabina fu allestita nel palco centrale “rivestita da uno strato di zinco e di ferro sbarrato a cura del richiedente”, cosicché nel dicembre del 1927 ancora Mariano Cappanna, sempre a nome del P.N.F., formalizza la richiesta e ottiene il Teatro per una “serie di rappresentazioni drammatiche e cinematografiche“. 

 

 

Anche in questo caso purtroppo non ci sono notizie delle pellicole proiettate nel periodo e del pubblico che vi assisteva.  Tenuto conto però della gestione non abbiamo motivo di dubitare che si trattasse di una programmazione quanto mai in linea con il regime.  

La locale sezione del fascio gestì Teatro e Cinematografo per un lungo ma non precisabile periodo, poi, verso la fine degli anni ’30 subentrò nella gestione Dario Rossi che univa questa sua attività a quella di applicato allo Stato Civile del Comune.

Tra alti e bassi e con la periodicità frutto delle alterne vicende di chi, privato o associazione, si improvvisava gestore, il cinematografo in Teatro proseguì per tutto il ventennio e non si bloccò neanche per la guerra, pur con tutte le limitazioni imposte dal regime.

Gli ultimi testimoni di quell’epoca, che sono sempre meno, ricordano a malapena alcuni titoli, ma non dimenticano la particolare modalità con cui gli spettacoli venivano pubblicizzati. Toccava a Pilió, al secolo Gervasio Leoni, vestito di tutto punto e in maniera anche un po’ stravagante percorrere le vie del paese, quasi novello “trombetta” (nei precedenti secoli era l’incaricato di declamare in giro gli avvisi e i bandi emanati dalle autorità) annunciando il titolo della pellicola e il programma della serata.  Più d’uno ricorda ancora la sua tipica estroversione; un vero personaggio che era, al contempo, anche “vespillone“, ovvero una sorta di custode del Cimitero e addetto all’organizzazione delle sepolture.  Con il suo eloquio non proprio perfetto gli era difficile spiccicare, tra le altre, la parola cinematografo, che una volta diventava “ciòfrico”, altre “citografo” ed altre storpiature varie che riecheggiavamo lungo le vie del paese. Si provi a immaginare la sorte riservata ai titoli dei film e ai nomi degli attori, soprattutto stranieri…  Pilió faceva parte delle epopee raccontate quasi come fiabe; tra le tante, resta una filastrocca che ripeteva mia madre imitandolo quando con voce stentorea sbraitava per vicoli e spiazzi del paese annunciando una serata danzante con proiezione di un film: “guesta sera a tteadro comunaleee… festa da vallo e cciofricooo!!!”.

Nel maggio del 1942, in pieno periodo bellico, in base alle sue caratteristiche, la Prefettura classificava l’impianto cinematografico allestito in Teatro come “Cinema Dopolavoro – 4a Categoria”, dopo che tre anni prima un sopralluogo di Vice-Prefetto, Questore e Ingegnere Capo della Provincia, ne avevano decretato l’agibilità “per darsi spettacoli cinematografici”.  

L’attività venne sospesa solo nel gennaio del 1944 in quel funesto anno che avrebbe visto, di lì a qualche mese, i tragici eventi legati alla presenza nazifascista; ma la sospensione derivò dalla annosa (e ancora oggi non del tutto risolta) questione del Teatro Comunale che era, al tempo stesso, anche condominiale perché originariamente (ma parliamo della fine del ‘700…!) fu realizzato in parte con il contributo di alcune facoltose e notabili famiglie locali.   E’ immaginabile che l’attività sia poi ripresa nell’immediato dopoguerra, ma purtroppo non vi sono documenti che lo attestino.  Cercasi testimonianze.

Poi, arrivò Ersilio… (continua)


2 Replies to “Lu Cinema – prima parte”

  1. annapaola.temperini@gmail.com ha detto:

    In questo momento ho finito di leggere la meravigliosa storia di come è nato il cinema a Esanatoglia. Mi ha fatto molto piacere. Io sono andata solo qualche volta al teatrino, della Pieve, dove Paolina recitava. Di seguito oratorio della Pieve, dove erano ammessi solo maschi, Don Nicola. Grazie Pino per le tue meravigliose storie di vita vissuta. Un caro saluto. Paola

    • PinoBart ha detto:

      Grazie Paola.
      Non sapevo della discriminazione operata da Don Nicola nell’Oratorio. Interessante. Chissà se i ‘pievaroli’ dell’epoca confermano o smentiscono… Comunque… poi a Esanatoglia arrivò Don Francesco!

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