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Una pagina d’archivio

Quante cose può raccontarci una singola pagina d’archivio. Ne prendiamo, come esempio, una fra tante, in uno dei volumi degli “Atti criminali“.

Racconta un fatto in sé non proprio straordinario: in quei tempi capitava assai spesso di venire alle mani, anche se in questo caso si va un po’ oltre.

Siamo nel 1622, di aprile. Un tale Stefano Pintoni viene chiamato a testimoniare davanti al Magistrato su un fatto a cui ha assistito. Poco più di un bisticcio tra munélli degenerato in una sorta di duello tra i rispettivi genitori. Davanti alla chiesa di S. Andrea (oggi piazza Garibaldi) un ragazzo colpisce con un sasso una ragazza.

 

Interviene il padre di quest’ultima, Biasio Giagni che, secondo il teste, “dette delli scapeccioni al figliolo di Properzio Dialti che li fece increspare la testa in quelle colonne dele loggie di Santo Andrea et li fece uscire il sangue dalla testa.

Il ragazzo scappa e si rifugia in casa sua, lì vicino. Dopo un po’, il perché non è chiaro, esce di nuovo e di nuovo viene preso a “scapeccioni in testa” dal Giagni, che dimostra così un particolare accanimento nei confronti di chi ha colpito (ma non ferito, almeno così non risulta) la sua figliola. E non finisce qui.

Intanto fermiamoci un momento e lasciamoci attrarre dalla presenza di una loggia sostenuta da colonne davanti alla chiesa di Sant’Andrea: un elemento architettonico di cui nulla d’altro sappiamo, e del tutto scomparso dopo che la chiesa fu riedificata con lavori che durarono una decina di anni e che, altre carte ci dicono, terminarono nel 1844 restituendo l’edificio nella forma in cui lo vediamo oggi. Nella ricostruzione storica del tessuto edilizio del paese, la notizia ha la sua importanza.

La seconda cosa che colpisce, proseguendo nella lettura del documento, attiene invece alla sfera linguistica, al parlato.

Nella sua deposizione il teste nel rispondere alla domanda del Magistrato esordisce così: “Inquanto me dimanda li dico che alli giorni prossimi passati io viddi ….“: è come dire “nei giorni scorsi“.  Qui si evidenzia una forma di sintassi antica e altrove non consueta, un complemento di tempo raro, che da noi, in base a tante risultanze documentali, è piuttosto ricorrente. E’ giunta fin quasi ai nostri giorni anche se oggi si può dare ormai per scomparsa. Si è perso ormai il rafforzativo della prossimità, per cui “i giorni prossimi passati” son diventati, come in lingua, “i giorni passati” o, ancor di più, “i giorni scorsi“. Questo vale anche per le settimane, i mesi, gli anni. Ricordo nella mia infanzia d’averlo utilizzato perché era ancora in uso. Forse la scuola ci ha imposto di dimenticarlo.  

Torniamo alla lettura del documento e godiamoci, se così si può dire, la scena. Immaginiamo dunque la piazza animata dalla vita d’ogni giorno: vi si affacciano botteghe varie, qualche artigiano, il forno del pan venale. C’è spazio anche per i giochi e li dispétti tra ragazzi. Certo, vola un sasso che colpisce una “figliola”.

Poi volano “scapeccioni” e anche qui l’attenzione scatta per registrare uno dei tanti vocaboli che ricorrono nella casistica processuale delle lesioni personali di cui sono ricolmi i libri degli “Atti Criminali” e di cui parleremo in altra occasione. Per il momento accantoniamo questa parola riponendola a fianco di “mostaccione, smusellone, sgrugnone” ed altre ancora, tanto per limitarsi alle sole percosse a la capoccia.

Il ragazzo ferito, abbiamo visto è figlio di Properzio Dialti. Non uno qualsiasi. La famiglia Dialti è una delle più ricche della nostra terra. Il palazzo di famiglia impone la sua mole sulla piazza di Sant’Andrea (oggi Garibaldi) in quell’angolo in cui questa si strozza in direzione del quartiere di San Martino.  Laddove oggi si ospita l’Ufficio delle Poste, con tutto il piano sottostrada, v’erano i capienti e forniti magazzini che consentivano a tutta la numerosa famiglia comodamente insediata nei piani sovrastanti di godere dell’agiatezza che veniva dalle varie ed estese possessioni (le puscio’) e dalle cospicue rendite fondiarie. Properzio, che la “Platea Universale” ovvero la genealogia della sua famiglia del 1788 definisce “uomo di gran mente“, ormai ultrasessantenne, è un personaggio pubblico importante: dapprima aggregato come Consigliere, divenuto poi Capopriore, più volte Sindico e Abbondanziere. Con quest’ultimo incarico, quello cioè di “regolatore dell’Annona” e quindi di autorità per le scorte alimentari dell’intera collettività, aveva dovuto affrontare la carestia che aveva flagellato anche le nostre zone nel terribile triennio dal 1589 al 1591. E’ anche, immancabilmente come s’addice a un ricco uomo di potere, anche attivo uomo di fede e come tale si era adoperato perché il nuovo ordine dei Cappuccini si insediasse a Santa Anatolia nel 1615. Le sue attività lo portavano spesso a dimorare per lo più a Perugia, Roma, Napoli; era perciò proiettato ben oltre le ristrettezze locali (fisiche e mentali), i limitati spazi della piazzetta di Sant’Andrea, le anguste menti di chi vi viveva ignorando mondi diversi. Eppure (o forse, anche per questo)…

Dopo la seconda scarica di scapeccioni che si abbatte sul giovane rampollo di casa Dialti (uno dei cinque maschi, non sappiamo quale), si spalanca il pesante portone del palazzo e Properzio ne esce “con una storta sfoderata in mano et andò alla volta di detto Biasio et li menò con detta storta“.

La storta è un’arma da taglio con lama ricurva simile alla scimitarra turca, forse un po’ più corta, ma altrettanto micidiale.

Da un uomo di tal tempra, un personaggio pubblico, ci si aspetterebbe forse un diverso comportamento: far valere il rispetto di cui gode anche solo con la sua presenza, rivolgersi agli uffici del Bargello (il capo dei birri, della polizia), affidarsi insomma alla legge che governa la comunità.

Invece no; illuminandoci sui costumi dell’epoca e facendoci riflettere nel confronto col mondo d’oggi, Properzio, ‘uomo delle istituzioni’ per dirla con linguaggio attuale, punto nel suo amor proprio di padre e di presunto intoccabile, ritiene di uscirsene armato di una sorta di scimitarra per farsi giustizia da sé e andare a colpire di taglio il manesco Biasio, anch’egli comunque giustiziere, seppure in tono minore e armato della sua sola forza.

Ma il Giagni è lesto di mano non solo nel menare sberle ma anche nel parare i colpi e nel neutralizzare l’aggressore, tanto è che riesce a disarmarlo: “detto Biasio reparò la botta et dette una spenta al detto Properzio et lo fece cascare in terra et poi li tolse la detta storta“. Ormai è Biasio che ha la storta dalla parte del manico, ma lui, di più modesta aggressività e di spirito più mite, non la usa.

Sarà lui a rivolgersi alla Giustizia e portare Properzio davanti al Magistrato. Qualche giorno dopo la questione verrà composta con la pace tra le parti. Se compensata e in qual modo (in via extragiudiziale, come accadeva di frequente) non è dato sapere.

A noi ci restano, da queste poche righe di scarna cronaca, sprazzi di luce sulla vita di quattro secoli orsono, che possono accompagnarci quando percorriamo quei luoghi e pensiamo a Biasio a Properzio, ai loro figlioli, al colonnato di S.Andrea, ai diversi secoli che ormai vi sono scorsi, magari riuscendo a percepirli come se risalissero a… “fatte cuntu sabbato prossimu passatu“.

Quante cose può raccontarci una pagina d’archivio

3 Replies to “Una pagina d’archivio”

  1. Rita Lacchè ha detto:

    Molto interessante ci riporta indietro nel tempo, sembra di esserci, come sempre mi è piaciuto tantissimo. Grazie

  2. Ritalacche@outlook.it ha detto:

    Grazie per condividere con noi i tuoi racconti sempre belli e interessanti, ci fai rivivere un pezzo di storia, leggo sempre con molto piacere. Aspetto il prossimo racconto buon lavoro, buona giornata

    • PinoBart ha detto:

      Ti ringrazio per l’apprezzamento. Se hai suggerimenti, proposte, richieste, su qualsiasi cosa possa riguardare il nostro paese, tanto da poterne parlare, intraprendere una ricerca, ti sarei grato.

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