| le parole

a capécce… ce cape

Partiamo dal latino capĕre (prendere, comprendere) che in lingua è il capire con l’accezione, che ormai è prevalsa, di intendere, di afferrare compiutamente con l’intelletto. Restano in verità alcune tracce dell’altra accezione relativa al contenere e all’essere contenuto: in lingua non chiederemmo mai “quanta gente cape in uno stadio” ma una volta conosciuto il numero, quello indicheremo come la sua capienza.

Per noi, il capere (lo capé) sembra rivolgersi indietro tornando al capĕre latino e limitandosi al solo significato di essere contenuto, di trovar posto, di starci.   Questo, tòcca capì, è  lo capé.

E una cosa è capécce e un’altra sembra essere lo scòtece che appare sinonimo ma lascia intendere, in varie accezioni, la necessità di un seppur minimo ‘gioco’ interno tra contenuto e contenitore, tale da permetterne appunto un minimo scuotimento. Questo si affronterà alle voci scòte e spercòte.

Il comprendere invece è capì, e anche questo me la testa ce dee capé, perchè come ricorda il Pianigiani (1907), “ciò che s’intende cape nella mente”.

Cerchiamo qualche appiglio nel passato per riordinare un po’ le idee…

Girovaghi, perditempo, ma anche lavoranti che venivano da lontano e che vivevano un’esistenza ancor più precaria di quella comune a tanti cittadini; Bernardino de Cingoli, battilano (operaio che preparava la lana per la filatura, ungendola e battendola) nella bottega di Panfilio di Cristofaro, per discolparsi d’aver partecipato nel luglio del 1587 a una serata ‘brava’ in una delle capanne in cui erano soliti trascorrer la notte i ‘senza fissa dimora’, depone davanti al Magistrato: “martedì à notte andai a dormire alla capanna del Sediaro in compagnia di Giovanni di Trotta et il figliolo di Trotta, Theodoro detto il fiorentino, Romano parente di Pamfilio, Vergilio cingolano, Pietro della galluccia et Cola di Fraviano da Matelica”.  Una bella combriccola quindi.

Dopo una partita a piastrella e qualche libagione di troppo l’aria si surriscalda e partendo dai salaci commenti sulla formosa moglie di uno di loro, vira in equivoci atteggiamenti e succede qualcosa: “ruzzavamo assieme, co toccarci le guancie, et basciarci.  Il Mancino è sbarbato et ruzzai a’ sieme co esso, et ci basciavamo ancora, et il simile facevano l’altri.”. 

Ora, ruzzare ha un ampio ventaglio di significati, variando dal beffardo e infantile trastullo fino al sollazzo amoroso, al gioco erotico, al rapporto sessuale.

Si badi comunque, come precisa il preoccupato Bernardino battilano per tranquillizzare il Magistrato, che “il basciare che faciavamo l’un l’altro no si faceva ad altro fine sinò per burlare, et no co altra intenzione”.  Fatto è che il baccano fu tale che furono perseguiti dalla giustizia.

Il malcapitato Bernardino, che non si capacitava d’esser sprofondato nel carcere per quella che s’ostinava a reclamare come innocente burla, si rammaricava di aver dovuto abbandonare il suo consueto e tranquillo giaciglio presso la bottega di Costantino di Giomo  perché “ci andò a dormire Lorenzo di Fierto, et per questo io non ci andai a dormire perché non ci capevamo”.

Era stato costretto, maledizione, a rinunciare perché capiva di non entrarci, in sostanza capìa che ‘n ce capìa.

Non fu certo grazie a questo gioco di parole che fu assolto.

Ritroviamo il termine del capecce anche in una deposizione del 1662 che riguarda  “Benedetto di Bracalino che assaltò con una storta Pietro da Pagliano”; si gioca proprio sul doppio senso del ‘capere’ ossia il capì de capécce o de non capécce…. Viene da pensare a quegli episodi di intolleranza che si verificano assai di frequente nel caos del traffico delle strade di oggi.   Qui è un più modesto ingorgo di carri trainati da buoi nell’improbabile traffico della Santa Natoglia di metà Seicento.

Un teste depone: “Io e Pietro venivamo su con le bestie cariche et quando fossimo nella figura di Vitalino [un edicola votiva, una ‘figuretta’, che si trovava all’inizio de la Piagghjia, più o meno dov’è la biglietteria del campo di calcio] ci incontrassimo con Benedetto e gli disse detto Pietro che si fermasse che non ci capevano le Bestie e il detto Benedetto gli disse che toccasse sù che ci capevano e quando andarno su non ci capevano, et il detto Benedetto disse al detto Pietro che si fermasse un tantino sintantoche passava, e così ci fermassimo, dopo passati gli disse ma non vi ho detto che non ci capevamo e cominciarono a gridare dopo havute alcune parole passato che fu gli disse il detto Pietro ci fai il Bravo per portar quella storta e il detto Benedetto sentì e tirò mano alla detta storta e gli voleva dare e il detto fuggì via, che questo è tutto”.

Quando un uomo disarmato incontra un uomo armato, l’uomo disarmato deve capì che, in uno spazio stretto, lo capecce o no lo decide l’uomo armato.  Amara verità. Éte capìtu ?

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