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Un medico… letterato

La figura del medico per secoli ha rivestito una notevole importanza nella vita  dei comuni, e in misura ancor più marcata in quelli di minori dimensioni. In quelli piccoli come il nostro, dove il medico era uno solo, era più che una figura di spicco, una vera e propria autorità. Era da solo, equivaleva quindi al “protomedico”, come dire il responsabile sanitario delle grandi città o delle istituzioni ospedaliere.  Da quando a Santa Natoglia fu istituito questo ruolo e posto a carico del bilancio comunale, è sempre stato il servizio maggiormente considerato e, quindi, quello più remunerato.

Jan Steen – Medico e paziente , 1661

Nell’affondare le mani e lo sguardo nelle carte che custodiscono il nostro passato, non potrà che risultare, tra le altre cose, la redazione di un repertorio di coloro che si sono avvicendati in questo ruolo a partire dalla prima metà del ‘500 in poi, fino ai giorni nostri, passando attraverso le fasi di sviluppo dell’arte medica, dal “medico fisico”, che era il ‘vero’ medico, quello laureato, ben distinto dal “cerusico” ovvero chirurgo, che finché non venne disciplinata la chirurgia accorpandola allo studio della medicina, altri non era che un praticone, un empirico (barbieri, tosatori, norcini, gente che insomma aveva dimestichezza con strumenti da taglio), fino all’avvento del “medico condotto”, figura che molti di noi ancora ricordano e che tramontò definitivamente nel 1978, con la legge che istituì la figura del “medico di famiglia” e che tolse ai comuni l’incombenza sanitaria.  

In larga parte sarà un flusso di nomi, di date, e luoghi di provenienza, senza particolari note attrattive.  Dall’arido elenco si staglieranno però alcune individualità, emergeranno alcuni personaggi su cui varrà la pena soffermarsi e che, per motivi diversi, ci aiuteranno anche a raccontare l’epoca in cui vissero e il periodo in cui a loro fu affidata la salute dei nostri antenati.

E’ il caso di un medico che, anche se per poco tempo, ebbe in cura i santanatogliesi della fine del ‘600.  Una figura quanto mai particolare, come medico e come uomo.

Siamo nell’autunno del 1698.   Proviamo a seguire l’incedere stanco di un ultrasettantenne, che percorre le strade del nostro paese.  Il passo incerto non sminuisce la figura austera, esaltata dall’abbigliamento che lo distingue e dalla folta e lunga chioma ormai incanutita.   E’ un salire stanco lungo l’erta che conduce al Palazzo del Consiglio, la sede priorale; una fatica che lo costringe a brevi soste in cui si guarda appena intorno, evitando di voltarsi indietro perché dall’alto verso il basso, se anche solo lo sguardo scivolasse sulle pietre sconnesse de “le scalette“, forse gli si replicherebbe l’esito di una vita che a lui, uomo di medicina e uomo di lettere avvezzo ad inquadrare in ben altre cornici la sua persona e la sua opera, lo ha sprofondato fino a farlo precipitare in questa sperduta contrada. Non è la prima volta che esercita in una piccola realtà, ma Santa Natoglia, a prima vista, è davvero uno sputo.  Ma è stato lui stesso a scegliere. Ha scelto e è stato scelto.

Questo forestiere che giunto in cima alla salita già è stato sbirciato da tanti sguardi curiosi dei paesani, salutato da qualche capo chino, riverito da qualche spontanea levata di berretta in chi l’ha incrociato da vicino, è un uomo di medicina e uomo di lettere. Anzi, a dire il vero: è, vuole essere, un uomo di lettere, bibliografo, e bibliofilo, scopritore e salvatore di talenti, a suo dire, strenuo difensore di chi scrive, ma fustigatore, sempre a suo dire, di scribacchini.  Ma è anche medico, soprattutto medico dovrebbe essere, perché questo, oltre a consentirgli di vivere, lo conduce a girare in ogni dove per praticare la sua arte trascinando con se anche la zavorra della sua grande passione.  Quale sia l’arte a cui tiene di più, non è facile dire: nei fatti, la passione per i libri, in particolare quelli definibili di editoria minore, per i manoscritti, per i carteggi, rappresenta quasi un tormento ma al contempo anche una salvazione.  Fosse per lui li userebbe anche per curare disturbi e morbi che la sua professione medica quotidianamente gli pone di fronte.

Quest’uomo stanco ma non ancora domo, è originario di Firenze e seppur tenda a vantare nobili e mai accertate ascendenze definendosi “patrizio fiorentino e forlivese“, la realtà vera sembra relegarlo in una condizione piuttosto modesta.  Questo non gli ha impedito di poter avere una istruzione di tutto rispetto.   Dalla retorica alla logica, poi nello Studio Fiorentino allievo (tra i migliori viene detto) di Evangelista Torricelli che tutti associano all’invenzione del barometro. Infine, volgendosi allo studio della medicina al “Collegio Ducale” di Pisa, vi si era laureato nel 1650 avendo nel frattempo coltivato anche quegli interessi letterari che segneranno la sua vita.

L’uomo, il medico, il letterato, che ormai ha quasi raggiunto l’ingresso del Palazzo dopo aver salito lo scalone, ha una lunga storia professionale alle spalle, ha alternato incarichi privati a servizio di nobili famiglie a varie condotte mediche a Portolongone all’Elba, a Borgo San Sepolcro (che lo collega alla seconda moglie, Eufrasia Carsughi), a Vergato nel bolognese, Bertinoro, Fossombrone, Montesanto (Potenza Picena), Loreto, San Ginesio (terra di terze nozze con una imprecisata “zitella di Loreto“) infine, da ultimo, Mogliano a non molte miglia da qui.

Ha alle spalle una vita privata più che intensa, con le prime due mogli che gli hanno lasciato la prima quattro figli, la seconda pare ben otto.  Cresciuti chissà come e chissà dove, ché lui sembra a stento anche ricordare (“sette o otto figli” dice un suo passo riferito a quelli avuti dalla seconda moglie).  La sua passione, vissuta con veemenza, frutto quasi di una naturale inclinazione alla polemica su argomenti anche medici ma soprattutto letterari,  lo ha portato a soffrire la malevolenza di tanti, la censura, persino il carcere per tre mesi in un procedimento per diffamazione. 

Il pesante portone del Palazzo Priorale sia apre, entra e a chi gli si fa incontro si presenta: si chiama Giovanni Cinelli Calvoli, è il nuovo Medico.

Giovanni Cinelli Calvoli (1677)

Il Medico

La condotta di Santa Anatolia era affidata da diversi anni a Giuseppe Benedetto Spinosi, un medico molto apprezzato. Sei anni prima nel segreto del bussolo era stato preferito al suo collega fabrianese Mario Mancini che risultava favorito, sia perché in quel momento esercitava già in Santa Natoglia “in via provisionale” dopo la morte del medico che lo aveva preceduto, Cioli, sia perché in suo favore era sceso in campo addirittura il Cardinale Pietro Ottoboni, al tempo “Cardinal Protettore” della nostra Comunità presso la Curia romana. Non è chiaro se ad influire sull’esito inatteso della votazione fosse stato il curriculum di Spinosi oppure il desiderio di rivalsa verso le autorità centrali che si erano mostrate sorde ad alcune richieste di sgravi fiscali presentate dalla nostra comunità in continuo affanno.

La partenza di Spinosi da Santa Natoglia, con l’interruzione di un servizio così tanto duraturo e apprezzato, era stata preannunciata in un modo davvero singolare.  Lo avrebbe poi raccontato Fra Giovanni da Belvedere nella “Vita di Fra Giuseppe da Sant’Anatoglia“: “Nell’anno 1698 il Sig. Medico Gioseppe Spinosi ritrovandosi di Condotta in Sant’Anatoglia, fu assalito circa il fine del Mese di Luglio da una Febre terzana, doppia continua, a de genere acutarum, come agli afferma nella sua relatione; et era tale, che ingeriva un ragionevol timore, di non poterne facilmente, e senza grave cura uscir libero.”

Invertendo i ruoli, fu Fra Giuseppe a presentarsi al capezzale del medico malato per recargli la sua di “medicina”, in quel caso la semplice parola. Ma “in vece di eseguire i consueti, e convenevoli termini in simili congiunture“, le parole vollero essere non solo lenitive ma anche divinatorie: “Ah vigliacco! Non dubitare, non temere: perche presto guarirai, e presto ancora partirai di quà“. Raccolse il Medico l’auspicio per la sua guarigione, ma non la prospettata partenza, la “vicina mutatione“, perché “né si era affacciato, né gli era caduto in pensiero di affacciarsi a concorso alcuno“. Avvenne invece che “nel principio dell’immediato Agosto si ritrovò restituito in salute, e nel dicesettesimo giorno del detto Mese fu eletto Medico in Sassoferrato senza una sua minima opera, che universalmente si usa praticare in concorsi, e congiunture tali da i Medici“.  Per chiamata diretta, senza gara alcuna.

Era abbastanza usuale che al presentarsi di qualche opportunità più allettante per prestigio o per remunerazione, i medici cambiassero sede di condotta. Fu così anche in questo caso: Spinosi, nonostante l’attaccamento a Santa Natoglia, preannunciò le dimissioni e se ne andò. Venne da subito bandito un avviso per conferire un nuovo incarico. Non sappiamo in quanti furono a rispondere né quali furono le credenziali presentate dal Cinelli.

Tempo due settimane ed ecco i primi, necessari provvedimenti. Il Consiglio di Credenza era un organo esecutivo più ristretto del Consiglio Generale, formato dai rappresentanti dei quartieri e si occupava di questioni legate prevalentemente alla vita quotidiana della comunità.  Riunito il 3 settembre, di mercoledì, giorno di mercato perché era più facile per tutti il ritrovarsi, con la proposta: “Essendoci venuta notizia che il Sig. Medico Benedetto Giuseppe Spinosi habbia avuta la condotta di Sassoferrato, e sentendosi generalmente che a quella il medesmo, entro il corrente mese voglia andarsene, per il che la nostra Comunità restarà quanto prima vacante di medico, sarebbe bene, se pare, di provvedere soggetto buono, tanto più, ch’abbiamo concorrenti, e tra l’altri vi concorre il Sig. Dr. Giovanni Cinelli Calvoli al presente commorante à Mogliano, il quale scrive a questa nostra Comunità con includervi dentro copia de suoi requisiti…

Libro dei Consigli Comunali 1698 – Elezione del Medico

E si mette a votazione: “che si metta a partito il Sig. Medico Gio. Cinelli Calvoli commorante a Mogliano, sentendosi i di lui Requisiti esser buonissimi, e vincendosi s’intenda eletto per un anno coll’ordinaria provvisione di scudi 130 di moneta“, aveva ottenuto l’unanimità. Per ritornare al rilevo della condotta medica, si tenga conto che gli scudi annui per il Chirurgo erano circa la metà, ancora più basso era lo stipendio del Maestro di scuola e poi, ancora meno percepivano Podestà e Segretario.

Iniziò quindi la condotta di Medico che si protrasse per poco più di due anni in quella terra di cui poi scrisse: “E’ questa Terra fra le radici di due non piccoli monti, l’uno Gemmo, l’altro Corsegno chiamato, divisi solamente dal fiume Esino, ch’in Lingua Latina è detto Aesis, da altri Esium, che tre miglia sopra la detta Terra verso Ponente nella valle detta di Cafaggio ha la sua scaturigine da un piccol fonte, che getterà nel suo nascimento poco più d’uno scudo, ed il fiume dalla banda di mezzodì la terra tutta bagnando alla fabbriche di Carta, e di conce dà comodo.“.

Cinelli Calvoli venne riconfermato l’anno successivo “con li soliti suoi honori, et emolumenti” il 16 agosto del 1699 con unanime votazione di 15 su 15.

Non conosciamo i motivi, ma l’anno dopo ancora, l’idillio con la comunità si interrompe.  Il Consiglio di Credenza del 15 agosto del 1700 alla sua richiesta “dessideroso d’esser confirmato nella carica per un’altr’anno con li soliti pesi, honori et emolumenti“, il Consiglio di Credenza approva, con un solo voto contrario, ma il Consiglio Generale di 48 membri, chiamato a ratificare, si spacca: 24 sono a favore, 24 contro.   La condotta non viene rinnovata e, per la cronaca, passò a tale Giovanni Adriani. 

Della presenza di Cinelli Calvoli, in quanto Medico a Santa Natoglia, non si sono al momento rinvenute tracce, testimonianze oltre quelle già citate. Neanche nei procedimenti giudiziari, dove i pareri legali (nei casi di percosse, ferimenti, uccisioni) erano espressi dal Cerusico. Il Medico non si imbrattava le mani col sangue, con la carne viva. Il massimo contatto con il corpo era la palpazione. Sappiamo invece che nel mentre solcava le nostre contrade, curava i nostri antenati, visitandoli al capezzale, proseguì anche nella sua infaticabile opera e che da qui promosse la pubblicazione della “”Nona Scanzia” della Biblioteca Volante che venne edita a Venezia nel 1700. La presentazione reca infatti, prima della sua firma, “Santanatoglia aprile 1699

 

 

 

Lasciata Santa Natoglia, Giovanni Cinelli Calvoli se ne tornò a Loreto dove morì, appena ottuagenario, nel 1706.

Il letterato

Diversi anni prima di essere tra noi, aveva intrapreso una fatica letteraria, di cui nel corso degli anni sparpagliò le pubblicazioni in base ai suoi peregrinaggi e alla sua vita inquieta, e che in una delle sue opere così ebbe a sintetizzare “Sappia il Mondo per chi non è informato, che io alcuni anni sono intrappresi nell’ore più oziose per mio divertimento d’andar intessendo certe notizie di piccole Operine sparse in fogli volanti, acciò dell’erudite reliquie de’ loro Letteratissimi Autori qualche memoria restasse, e questa Bibliotheca Volante nominai, in varii tometti distinta, a ciascheduno de’ quali Scanzia prima, seconda , tertia etc. diedi nome“.

Dire semplicemente che La Biblioteca Volante, è un repertorio bibliografico in cui venivano registrati in volumetti detti scanzie, opuscoli, libretti e manoscritti per salvarli dal rischio  che andassero smarriti o distrutti, significa forse non rendere onore all’ampiezza dell’intento, allo sforzo ciclopico che era dietro a quel lavoro, la pazienza, la sagacia, ma anche, spesso, la sorprendente e incredibile crudezza con cui scagliava i suoi strali contro l’una o l’altra delle pubblicazioni da lui raccolte ed elencate.  Dopo la sua morte, l’opera fu proseguita, ma cambiò di segno e di stile.

Per raccontare la Biblioteca Volante del Cinelli, ci vorrebbe il genio di un Borges, che avrebbe saputo estrarre da questo ambizioso, a volte onirico,  ma per certi versi maldestro tentativo di collazionare libercoli e manoscritti, intrapreso sulla fine del ‘600, non solo il clima culturale del periodo ma anche la “babele” mentale che s’era impossessata di un uomo che pretendeva, attraverso quella estenuante raccolta, su cui lui apponeva i suoi commenti, di affrontare la sua sfida alla vita, la stessa vita che lui più volte schiaffeggiava, ricambiato. 

Non poté, nemmeno negli anni santanatogliesi, esimersi dal proseguire nel suo impegno ed anche cimentarsi, come fece anche altrove, nell’arte letteraria, in cui esprimeva la sua insaziabile curiosità, i suoi interessi multiformi.  La “Scanzia Decima” edita postuma a Venezia nel 1705, ci mostra che il Cinelli Calvoli letterato ebbe modo anche di interessarsi della lapide incastonata nel campanile della Pieve che nella sua opera, raffigura e trascrive in una sua originale e personale versione, fornendo anche una sorta di volgarizzazione: “Quasi che nel nostro Idioma dir volesse, Regnando felicemente nell’Esa il nostro Governatore e Principe (come ponghiam’ noi ne’ contratti) Nortorio: Feroce soldato Veterano degno per l’Imprese fatte, sciolse e sodisfece al voto fatto a Giove celeste, e per la grazia ricevuta ne pose quì la memoria.” 

 Similmente si interessò delle acque curative di Fontebono, di cui s’era occupato un suo precedente collega, il medico corinaldese Pietro Agostino Boscherini (1673).

Dovessimo trovare, nel corso delle nostre ricerche, qualche testimonianza scritta del periodo santanatogliese, potremmo tornare sull’argomento e raccontare più diffusamente l’universo cinelliano.   Per ora ci conforti e ci onori l’idea che, tra quelli che hanno qui esercitato l’arte medica, c’è stato anche un personaggio “un po’ speciale”, come lo fu Giovanni Cinelli Calvoli (1626 – 1706).

 

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