Un pittore che fu… da Santa Natoglia

E’ di nuovo una sorpresa quella che riemerge dalle pieghe della nostra storia.     Il tempo, quello che costruiamo noi con le nostre scelte, intrecciato con quello che sembra avere sue oscure regole interne, aveva proceduto ad un’altra esclusione, all’ennesima dimenticanza.  Siamo vissuti lo stesso, e certamente avremmo continuato a farlo.   Ma mi auguro cresca la schiera di quanti godranno una minima soddisfazione dal vivere in questo posto, sapendo oggi che lo potranno condividere con una persona in più di cui c’è un nome e, a distinguerlo da tanti altri, delle opere che testimoniano del suo passaggio, non anonimo, su questa terra.    

   Restituiamo quindi un altro cittadino illustre, un pittore stavolta, e lo aggiungiamo al ‘Pantheon  esanatogliese‘.  [Operazione questa, che mentre a noi singolarmente (e collettivamente ?) può soddisfare per vanità e amor proprio, non so che giovamento possa essere per l’onore alla memoria dei diretti interessati; il dubbio vale per il pittore, come per lo scrittore, come per il musicista e tanti altri che però ormai non possono che in silenzio soggiacere alle ingiurie del tempo e degli uomini che li dimentica o li ricorda come magari non avrebbero mai voluto…].

Il suo nome è Filippo Micheli, era nato a Santa Natoglia ed è vissuto e ha esercitato e manifestato la sua arte nella seconda metà del 1600.

Ad oggi, ufficialmente, risulta autore di quattro (o forse sei) opere che si conservano.

 

La famiglia Micheli

Per quanto potuto finora consultare, i Micheli, come cognome definito, non risultano presenti a Santa Natoglia prima dell’inizio del 1600, ma la questione andrebbe approfondita anche perché il periodo coincide proprio con quella che potremmo definire la fase finale della formazione dei cognomi.   E’ vero che nel Catasto del 1400 risultano una Iohanna Michaelis, un Vannis Michaelis e un Colutius Michaelis, ma considerata l’incertezza delle denominazioni in quel periodo e la loro estrema variabilità, pare azzardato farvi risalire l’ascendenza. Comunque, dal 1600 e per quattro secoli il casato ha proseguito la sua presenza nel nostro paese; una famiglia di ordinaria levatura, di modeste ma non misere condizioni, a partire dal ‘700, per ripetute generazioni, tradizionalmente muratori.  Oggi, almeno a Esanatoglia, è praticamente estinta.

Il primo Micheli ‘certo’ che incontriamo è Mastro Girolamo che nel 1669 risulta esercente l’attività di “valcatore”, quindi proprietario o gestore di una valca (o gualca o gualchiera o valchiera che dir si voglia),  quel sistema di magli, movimentati dall’acqua, che servivano sia ad assodare i panni di lana dopo la tessitura che a ridurre stracci e cordami in pasta da cui far carta.   Probabilmente un piccolo artigiano con una attività e risorse che gli consentivano di assumere anche commissioni dirette per trattare tessuti come quello “di panno marocchino” che gli affidò Venanzo Buscalferri nell’agosto del 1669, il quale poi lo citò in giudizio perché se lo vide ritornare “tutto deguastato da bughi e in particolare strutto nella metà”.   Presumiamo sia lo stesso Hieronimum Michelum designato come “viales” (cioè deputato al controllo delle strade) nel Consiglio Generale del 25.11.1668.

 

Filippo Micheli pittore

Nessuna notizia, nessun cenno invece che ci aiuti a ricostruire la biografia di Filippo.   Una ricerca tutta da approfondire e da affinare.

Abbiamo per il momento la prima testimonianza e la prima data relative alla sua esistenza: le troviamo apposte sull’unica sua opera in cui si firma accostando il suo nome a quello della sua città natale.

 

Narni

Il “Miracolo di San Biagio” alla Cattedrale di Narni

Narni – Cattedrale di San Giovenale – (foto dal web)

 

Una grande pala (382 x 227 cm) su di un unico supporto di tela senza cuciture (cosa assai rara) adorna, seppure in condizioni di luce non ottimali, il primo altare della navata sinistra della Cattedrale di San Giovenale di Narni (TR) ed è catalogata come “Miracolo di San Biagio e Madonna col Bambino tra i Santi Giuseppe e Michele Arcangelo”.  In basso a sinistra nell’ombra dello scalino si legge: “PHILIPPUS / MICHAEL / DE SaANATOLIA / 1675”. La tela è in ottime condizioni dato il suo restauro effettuato nel 2001 da Donatella Bonelli.

Il dipinto rappresenta San Biagio, protettore d’ogni malanno di gola, nell’atto di salvare un fanciullo che aveva ingerito una spina di pesce.  Il culto del Santo, che ricordiamo era presente anche da noi con un Oratorio di cui si hanno alcune testimonianze documentali che non chiariscono la sua precisa ubicazione, pare fosse particolarmente importante per quella collettività, come in generale lo era un po’ per tutti.

Nelle brevi note che accompagnano la relazione sul restauro, Cecilia Metelli così descrive l’opera:

 

Già ad un primo sguardo s’intuisce che capisaldi imprescindibili della formazione del pittore marchigiano sono rappresentati dal Domenichino e da Pietro da Cortona (entrambi peraltro presenti con loro opere nelle Marche). Avendo a disposizione il ricco vocabolario offerto da questi artisti, il nostro formula una versione timida e calibrata del ‘cortonismo’ in voga ancora nell’ottavo decennio del secolo. […]  L’artista aggiunge alla altrimenti troppo esuberante libertà cromatica e compositiva del pittore toscano una buona dose di notazioni dal sapore più moderatamente classico, prossime al bolognese, che gli permettono di mantenere ad un livello accettabile il tono della scena sacra, probabilmente più gradito ad una clientela di provincia.”. [1] 

E dalla provincia probabilmente tentò di affrancarsi, tentando l’avventura romana, dove a partire dagli anni ’80 iniziò ad essere attivo e “dove probabilmente si recò per accaparrarsi una piccola fetta del mercato che stava fiorendo intorno alle grandi commissioni artistiche e ai cantieri capitolini.”. [1] 

E’ qui che Filippo Micheli da Santa Natoglia, diviene, come attestato dalle opere che realizza e che sono giunte fino a noi, Filippo Micheli da Camerino.

Si potrebbe pensare alla proprietà fascinatoria e senza dubbio distintiva del riferimento alla nota città varanesca piuttosto che allo sconosciuto nostro borgo seppur dedicato esso a una santa.   Ma non vorremmo che la spiegazione risiedesse altrove, ovvero ad una deliberata volontà di troncare i rapporti, di chiudere definitivamente con una patria ritenuta ingrata perché gli aveva riservato uno spiacevole affronto.

 

… a Santa Natoglia

nemo pictor acceptus est in patria sua

La figura dell’artista sregolato e squattrinato, sempre impegnato nell’affannosa ricerca di appianare conti dissestati per sopravvivere, è un classico della letteratura e un po’ anche della realtà.  Potrebbe non essere azzardato ipotizzare qualcosa di simile anche per il nostro.  Tant’è che un tal Reverendo Don Cataldo Trotta nel dicembre 1686 promosse un’azione legale per esigere il pagamento di un debito contratto con lui da Filippo Micheli e che il pittore, evidentemente, non era riuscito a onorare.  Trascorsi 14 mesi dall’ingiunzione, il creditore ottenne che venisse messo all’asta un appezzamento di terra di proprietà del debitore in “Contrada Battuto” (che oggi noi chiamiamo “la piagghija”, il tratto di strada che dal campo sportivo s’inerpica in direzione di Pagliano).  Si trattava di “un pezzo di terra arativo, arborato e tramitato [cioè dotato di accesso] con viti et altri arbori da frutti” ereditato da Filippo dopo la morte della madre Primavera Micheli (si noti l’originale e suggestivo nome materno).

 

 

Il 16 marzo 1688 il Pubblico Balio (l’odierno ‘messo comunale’ con funzione, in questo caso, di ‘ufficiale giudiziario’) portò la citazione “in Casa del Sig.re Filippo Michele [così in questo caso, altrove è “Micheli”] dove soleva abbitare mentre stateva in questa terra et averli lassata la copia et averne affissa una copia nella Porta principale del Palazzo della Comunità di detta terra”.  L’esecuzione andò in porto in contumacia e la terra venne poi aggiudicata all’asta a Zenobio Stremucci per 52 scudi. 

 

 

Proprio nello stesso periodo Filippo si trovava a Roma impegnato in alcune importanti commissioni, chissà in che condizioni economiche e soprattutto chissà se contrariato dalle disavventure giudiziarie in patria.

 

Roma

E’ proprio nella capitale, che all’epoca che era il centro propulsore della vita culturale del paese che il nostro sembra riscattarsi realizzando le opere che di lui restano ma che risultano eseguite ormai da Filippo Micheli… da Camerino.

La pala d’altare a San Bonaventura al Palatino

Fu Francesco Barberini, che le sue nobile origini resero Cardinale a 25 anni, ma la vita rese anche un appassionato e dotto umanista, a volere la Chiesa di San Bonaventura al Palatino.  Proprio nell’anno in cui, senza nome, pubblicava la prima traduzione dei “Ricordi di Marc’Aurelio”, propiziava la costruzione della Chiesa dedicata a San Bonaventura da Bagnoregio e l’annesso convento dei frati Francescani Minori riformati a sostegno del catalano Miquel Baptista Gran Peris (che divenne Beato Bonaventura da Barcellona) fondatore di uno dei tanti movimenti riformatori dell’ordine, la cosiddetta “riformella francescana”.

Sull’altare maggiore, alla cui base è custodito il corpo di San Leonardo da Porto Maurizio, “avvi un quadro della Concezione, opera di Filippo Micheli di Camerino“ [2]

S.Bonaventura. Altare Maggiore pala di F. Micheli – (foto dal web)

La tela (cm 200 x 460) è una articolata composizione di personaggi al cospetto della Madonna tra cui, per spirito campanilistico rileviamo innanzitutto la presenza di San Giacomo della Marca a segnare la diffusione del tema iconografico, che andava affermandosi in quel periodo, basato sulla relazione tra il santo marchigiano e il dogma della Immacolata Concezione; lo sottolinea Silvano Bracci che ravvisa nella tela del Micheli,  da lui datata a prima del 1686, “una summa della devozione francescana all’Immacolata in quanto ai piedi della Vergine poste sulla mezza luna figurano i principali santi francescani è anche Giacomo connotato dal consueto calice e dal serpentello”. [3]

Oltre a San Giacomo della Marca, contornano la Madonna, San Ludovico da Tolosa; Santa Chiara; San Giovanni da Capestrano; San Bernardino da Siena; San Pietro d’Alcantara; San Ludovico IX di Francia e Ferdinando III di Castiglia. 

 

Le tele della cupola di Santa Maria di Loreto

Nei pressi della Colonna Traiana “li Fornai de Roma”, riuniti in Compagnia fin dall’Anno Giubilare del 1500, cominciarono qualche anno dopo la costruzione di questa loro Chiesa con lavori che durarono una settantina d’anni.

Chiesa di Santa Maria di Loreto (foto dal web)

 Le pareti interne della cupola, di cui fu architetto Antonio da Sangallo il Giovane, sono adornate, oltre che da stucchi dorati ed altri ornamenti, da due opere di “Filippo Micheli da Camerino”,  “La Presentazione al Tempio” e “La SS. Nunziata”, seppure il Marchese Amico Ricci [4] attribuisse anche le altre due tele della cupola al Micheli, ritenendole tutte, secondo il suo punto di vista ‘anti-manieristico’,  “opere che nel loro insieme mostrano quanto decadessero i pittori, allorché rinunziando ai fondamenti stabiliti nella scuola dei Caracci, si erano dati invece ad un dipingere, che troppo dalla verità, e dalla perfezione si allontanava.”.

Le due tele in basso sono di Filippo Micheli: a sinistra “La Presentazione al Tempio”, a destra “La SS. Nunziata” – (foto dal catalogo “alamy stock photo”)

Questo, per ora, è quanto: non c’è altro.  Un nome in più, che merita comunque d’essere ricordato.  Ma la ricerca continua; la mia e di chi vorrà.   Se visiterete Narni (vale) o farete un giro per Roma (come ogni tanto è doveroso fare), sappiate che c’è una traccia, una in più, di un santanatogliese.  Anche fosse un nonnulla, nulla proprio non è.

 


[1]  ANNA CICCARELLI a cura di, Arte e territorio: interventi di restauro, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, 2001

[2] MARIANO ARMELLINI, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Roma, 1891

[3] SILVANO BRACCI, Il culto e l’immagine. San Giacomo della Marca (1393-1476) nell’iconografia marchigiana, Milano, 1998

[4] AMICO RICCI, Memorie Storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, Macerata, 1834

 

3 Replies to “Un pittore che fu… da Santa Natoglia”

  1. Simone Bottaccio ha detto:

    Bella storia, complimenti! Sicuramente un illustre compaesano, di cui non avevo mai sentito parlare.

    • PinoBart ha detto:

      Grazie Simone. Per tutti noi era assolutamente ignoto; mai nessuna menzione, nessuna notizia. Un ‘recupero’ che speriamo possa avere sviluppi.

  2. mo' ha detto:

    Inebriante è …..il sapere.

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