Il Dialetto

Affidiamo a un modesto gioco letterario in endecasillabi costretti in rima (poco più che ‘na lurza… tanto per cimentarsi) il compito di sostituire il prolisso panegirico che era quasi pronto per introdurre il discorso sul nostro dialetto: le caratteristiche, le radici storiche, una scorsa sulla grammatica, la sintassi, la fonetica ecc. ecc…  In sostanza, era pronto “lo spiegone“.

Un approccio a cui sembrano obbligati quanti, prevalentemente spinti dalla passione localistica, si avventurano in imprese legate allo studio/conoscenza/divulgazione dello straordinario universo linguistico che contraddistingue ogni angolo di territorio di ogni singolo aerale (il nostro è l’aerale linguistico detto italiano mediano, del gruppo umbro-marchigiano, sottogruppo marchigiano centrale, ma basta così…); spesso però, quando la materia non è trattata da specialisti, ne vengono fuori dissertazioni di dubbio valore scientifico, noiosamente ripetitive e, ai più, anche un po’ ostiche. 

Qui non si ambisce a sistematizzare l’argomento (occorrono livelli di competenza di alta specializzazione), ma proveremo a sfiorare questi aspetti man mano che entreremo dentro alle singole parole del nostro dialetto, alle forme verbali, alle espressioni, al “parlato” insomma.
Ci interessa raccontarle le nostre parole, “le parole da non dimenticare“,  sperando di trattenerne non solo il significato, l’etimologia, ma anche il suono, il colore, il corpo, andando ove possibile, a ripescarne l’uso che, secondo i documenti storici, ne facevano i nostri antenati.  

Un recupero del senso e del suono. Un atto d’amore (uno in più) verso questa terra. Per provare ad ascoltare la sua musica di sottofondo che, nel corso dei secoli e con diverse modulazioni, i suoi abitanti hanno fatto risuonare sulle montagne e al piano, dentro e fuori le mura, nelle ‘ingentilite’ dimore dei particulari del Castrum e nelle ‘volgari’ trasanne del Borgo.

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Cume parlìmo

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