| il diletto, le vite

Calisto Calisti, attore

Calisto Calisti nacque a Esanatoglia il 15 febbraio 1925 (ho di recente corretto Wikipedia che alla voce riportava Macerata come luogo di nascita e per giunta con una data errata), al numero 11 di Corso Vittorio Emanuele, da genitori esanatogliesi: Delio, all’epoca venticinquenne ‘Ufficiale Postale’ e Tommasa Procaccini casalinga (“de quilli de Cinicchia”).  Può apparire una sorta di ossessione la mia, ma Delio Calisti era il nipote di Lao (sempre lui!), perché figlio di Sestilia Cambriani che del nostro mitico visionario era sorella. Delio ebbe l’incarico all’Ufficio Postale di San Leo (allora in provincia di Pesaro, oggi di Rimini) e lì si trasferì nel 1926 con la giovane moglie e il piccolo Calisto appena nato. Mantennero comunque contatti strettissimi con le rispettive famiglie e spesso tornavano a Esanatoglia dove fecero nascere anche il secondo figlio, Mario, morto a Tolentino nel 2017.

Non conosciamo la storia della sua gioventù; lo troviamo poco più che trentenne, probabilmente autodidatta e senza aver frequentato scuole di recitazione o simili, gravitare nel mondo dello spettacolo che in quello scorcio di fine anni ’50 animava Roma. Il cinema, la televisione, fabbriche di sogni stellari e di lampi di dolce vita, ma anche luoghi di lavoro e sacrificio, di gavetta senza gloria. 

Calisto fu un lavoratore dello spettacolo, come tanti che nell’immediato dopoguerra vennero assorbiti dallo straordinario sviluppo di Cinecittà e che si districavano nella fittissima rete di agenzie di spettacolo, in un mondo fatto di amicizie e di conoscenze, sempre pronti ad essere inseriti in uno dei tantissimi lavori che venivano sfornati dall’industria del divertimento; lavorò principalmente nel cinema, ma con qualche esperienza anche in Via Teulada, alla RAI. 

Un fisico asciutto, di buon portamento, un volto dai lineamenti marcati e sufficientemente arcigni per essere utilizzato, quasi un po’ da caratterista, in un delimitato ventaglio di ruoli che richiedevano un quissimile di autorevolezza (avvocato, dottore, sceriffo, ecc.) o che comunque dovevano essere connotati da una certa grinta che a lui proveniva non solo dai tratti del viso ma anche dall’ampia calvizie che spesso associava a un folto baffo spiovente.

Così in larga parte venne inquadrato e così lo vedemmo. Ricordo che quando si spargeva la voce della sua presenza in un film in programmazione al Cinema Orione, scattava una sorta di gara a chi lo riconosceva per primo e ogni sua apparizione era accolta da qualche apprezzamento, d’ogni genere.

Non erano certo ruoli da protagonista quelli che solitamente era chiamato a interpretare.  In alcune occasioni silenziose presenze, apparizioni fugaci, nella maggior parte delle volte personaggi con un nome e un ruolo, ma fatte salve alcune eccezioni, erano ruoli secondari.  Anche se era facile ironizzare sulla consistenza di quelle prestazioni, in fondo ci piaceva l’idea che uno di noi, un esanatogliese, partito da qui, fosse comunque finito su quello schermo dall’innegabile fascino, che suscitava ammirazione indipendentemente da ciò che vi scorreva.  Ci faceva un po’ sognare, a noi cinefili dal sogno facile, che il suo lavoro, seppure modesto, lo ponesse comunque a contatto con attori di calibro, da Annie Girardot e Raf Vallone (in “Una voglia da morire”), a Lee Van Cliff e Tomas Milian (in “La resa dei conti”), a Tino Carraro, Lilla Brignone e Lou Castel (in “Orgasmo”), passando per Jean Sorel e Anna Proclemer (in “Paranoia”) fino a ‘stelle’ come Irene Papas, Raquel Welch o Oliver Reed, e tanti altri ancora. Ce n’erano per tutti i gusti, e Calisto Calisti, seppur sommessamente, in disparte quanto si vuole, era lì, con loro. E le facili ironie nascondevano anche un po’ di ammirazione, e una punta di benevola invidia.

Prevalentemente la sua carriera si svolse nell’ambito dei cosiddetti “B-movie”, i film cosiddetti di serie B; ma nella sua filmografia trova posto anche qualche pellicola importante, ma certo nessun capolavoro della cinematografia. La sua vita, di uomo e di artista, fu breve. Chissà, se avesse avuto più tempo a sua disposizione…, non sono pochi gli attori che trovano maturazione in tarda età.

Ma la sua carriera fu questa, quella che ripercorriamo con una rapida carrellata.

La prima sua apparizione di rilievo fu in televisione, quindi alla RAI, dove nell’ottobre del 1959 comparve nello sceneggiato “I masnadieri” di Friederich Schiller per la regia di Anton Giulio Majano. E’ Schufterle, masnadiere forse non tra i più loquaci, e recita a fianco di attori che avranno poi una carriera di lungo corso: Glauco Mauri, Alberto Lupo, Renzo Palmer, Aldo Giuffrè, Warner Bentivegna.

 

Alcune scene de “I masnadieri” di A.G.Majano con Schufterle / Calisti

 

Al cinema, dopo due ‘comparsate’ in “Messalina Venere imperatrice” (di Vittorio Cottafavi, 1960) , e in “Il trionfo di Maciste” (di Tanio Boccia, 1961), dove nonostante figuri nel ruolo di “padre di Rais e Tabor” vi appare solo fugacemente e in poche scene, lo troviamo in una toccante scena di “L’oro di Roma” (di Carlo Lizzani, 1961) dove interpreta Vincenzo, il figlio maggiore di una numerosa famiglia ebrea romana chiamata a contribuire alla forzosa raccolta di oro per cercare di scongiurare la deportazione da parte dei nazifascisti.

Vincenzo e sua madre

 

Il primo ruolo di un certo rilievo lo ottiene con “Le sette folgori di Assur” (di Silvio Amadio, 1962), dove recita accanto a Giancarlo Sbragia e Arnoldo Foa. Interpreta il valoroso Adad.

Calisto Calisti al centro nel ruolo di Adad

Passa poi al ruolo dell’intrigante Sclepione in “Maciste il gladiatore più forte del mondo” (di Michele Lupo, 1962)

Sclepione

 

In quel 1962 denso di impegni, dopo alcune apparizioni di scarso significato, in “La freccia d’oro” (di Antonio Margheriti), “Io Semiramide” (di Primo Zeglio) e in “Rosmunda e Alboino” (di Carlo Campogalliani), dove però rimane immortalato nella locandina del film quale fiero guardaspalle di Jack Palance/Alboino, cambia infine momentaneamente genere.

Calisto Calisti a destra, al fianco di Jack Palance nel ruolo di Alboino

 

Viene scelto infatti da Florestano Vancini per il film “La banda Casaroli” sulla storia che insanguinò Bologna nell’autunno del ’50, dove interpreta il ruolo dell’agente di Polizia Giuseppe Tesoro che fu ucciso dalla banda di rapinatori quando temettero di essere scoperti. Eccolo mentre passa sotto i portici bolognesi del Pavaglione mentre ignaro va incontro alla sua morte.

L’agente Tesoro

 

Torna però subito a ruoli che sembrano a lui più confacenti e in “Maciste l’eroe più grande del mondo” (di Michele Lupo, 1963) è Delos consigliere del sovrano del regno di Nefer.

Delos e il suo sovrano
Delos

 

In “Sansone contro i pirati” (di Tanio Boccia, 1963) è il trafficante Ibrahim: un passaggio molto veloce, giusto il tempo di acquistare per il suo harem una muliebre bellezza spagnola al mercato delle schiave.

Al centro Ibrahim soddisfatto della sua scelta

 

Nel 1964 solo parti veramente secondarie: è Selim in “Gli schiavi più forti del mondo” (di Michele Lupo); un mercante in “Ercole contro Roma” (di Piero Perotti); in “La vendetta di Spartacus” (di Michele Lupo) ancor più genericamente “un giustiziato per tradimento” . Torna anche al western con “Jim il primo” (di Serge Bergon) in cui è “Glenn, il padre di Janet“.

Con la crisi del cosiddetto “peplum“, il genere cinematografico basato su improbabili storie e improvvisate mitologie che, per la gioia di noi bambini del tempo, aveva imperversato, inondato gli schermi e assorbito fino ad allora una parte consistente della sua attività attoriale, il 1965 segna una svolta nella carriera di Calisto Calisti. Altri cicli incombono: i film di spionaggio sulla scia di James Bond, e il western, spaghetti e non.

Calisti inaugura l’anno cinematografico proprio con un film di fantaspionaggio, protagonista un epigono di 007, “Agente 3S3 – Passaporto per l’inferno” (di Sergio Sollima), dove riveste il ruolo di Salkoff, agente della Black Scorpion, temibile organizzazione criminale naturalmente antiamericana, che viene ucciso proprio dall’Agente protagonista.

Salkoff poco prima della sua uccisione
Salkoff soccombe alla impareggiabile forza di S3S

 

Due anni dopo il travolgente successo di “A 007 Dalla Russia con amore” con Sean Connery, non poteva mancare, nella produzione cinematografica di secondo livelloAgente 077 dall’Oriente con furore” (di Terence Hathaway – nome d’arte di Sergio Grieco). Calisti è presente nel ruolo di Hassan, un postiglione intrigante faccendiere.

Hassan intrigante postiglione…
scarrozza Ken Clark (A 077) e Margaret Lee

 

Dopo un presenza nel ruolo di René Baron in “I criminali della metropoli” (di Gino Mangini), l’ultimo film della mitica Dorian Gray prima del suo ritiro dalle scene, e dopo avere interpretato nella commedia thriller “E’ mezzanotte… butta giù il cadavere” (di Guido Zurli) il personaggio di Gustavo l’imperturbabile maggiordomo delle tre nobildonne decadute che ordiscono e tramano tutta la vicenda del film, inizia la serie delle sue presenze negli spaghetti-western.

Si torna alla parodia di film di successo con “Per qualche dollaro in meno“, ultima opera di Mario Mattòli, che fa il verso al film di Sergio Leone. Calisti riveste il ruolo dello Sceriffo di Golden Valley, a fianco della triade Raimondo Vianello, Lando Buzzanca e Elio Pandolfi.

“Per qualche dollaro in meno” – Calisto Calisti e Raimondo Vianello
“Per qualche dollaro in meno” – Calisto Calisti con Vianello e Lando Buzzanca

 

Un deciso stacco di genere lo porta nella fantascienza con “I diafanoidi vengono da Marte” (di Anthony Dawson, ovvero Antonio Margheriti) dove è uno dei comandanti della stazione spaziale. Eccolo perplesso di fronte a non meglio precisate “radiazioni negative“…

I diafanoidi vengono da Marte

 

Nel 1966 è impegnato anche in televisione: un episodio della serie TV “Le spie” e un episodio de “Le inchieste del Commissario Maigret” con Gino Cervi e la regia di Gino Landi.

L’anno dopo torna al cinema con “La resa dei conti“, un apprezzabile western di Sergio Sollima con Lee Van Cliff e Tomas Milian, musiche di Ennio Moricone; nel film interpreta Mr. Lynch, segretario del latifondista Brokstone. Nell’occasione Calisti fu doppiato niente di meno che da Giampiero Albertini, apprezzato attore e soprattutto mitica voce di Peter Falk nel celeberrimo Tenente Colombo (nonché padre di un nostro concittadino… tanto per dire come è piccolo il mondo…).

Mr. Lynch assiste impotente alle minacce nei confronti del suo datore di lavoro

 

Fu poi la volta di un film oggi introvabile “Le due facce del dollaro” (di Roberto Bianchi Montero). A seguire una serie di partecipazioni di scarso rilievo: “Straniero… fatti il segno della croce!” e “Ed ora… raccomanda l’anima a Dio!“(entrambi di Miles Deem, ovvero Demofilo Fidani); poi “Faccia a faccia” (di Sergio Sollima) con Gian Maria Volonté e Tomas Milian.

Il 1968, altro anno di intensa attività, iniziò con il ruolo di Fernando Lopez in “Corri uomo corri” (di Sergio Sollima); venne poi il ruolo di Cassidy in “Una pistola per cento bare” (di Umberto Lenzi), ruoli secondari che non gli fecero meritare il nome in locandina, diversamente da quanto accadde per la sua partecipazione a “O tutto o niente” (di Guido Zurli).

 

Calisto Calisti: il suo nome in locandina

 

Di nuovo lo sceriffo in “Tutto per tutto” (di Umberto Lenzi) per il quale in locandina appare non solo il nome ma anche la sua immagine, chino su un cadavere sulla scena di uno sterminio.

La sua immagine campeggia sui manifesti

 

Conclude questa infilata di genere con il ruolo di Don Enrique in “Prega Dio… e scavati la fossa!” apoteosi dell’americanismo degli spaghetti western con il regista Edoardo Mulargia che era diventato Edward G. Muller e uno dei protagonisti, Giovanni Goffredo Scarciofolo detto “Nino”, che era diventato Jeff Cameron…  

Don Enrique
  1. Don Enrique a colloquio con un diversamente Don…

 

Nel 1969 dopo due comparsate in “Colpo di stato” (di Luciano Salce) e “Orgasmo” (di Umberto Lenzi) dove interpreta l’Avvocato italiano, riappare in locandina con “La casa delle demi-vierges” (di Helmut Weiss), ispirato al romanzo di Marcel Prévost, in cui interpreta il Professor Sauerbier, uno dei ruoli principali del film.

  • Calisto Calisti / Professor Sourbier e le sue ‘semivergini’

 

Il suo nome in locandina anche nel thriller “Crystalbrain, l’uomo dal cervello di cristallo” dove con impeccabile accento veneto è il Commissario Giuliano Filosèr.

Il Commissario Filosèr

 

Conclude gli impegni del 1970 in sala operatoria nel giallo “Paranoia” (di Umberto Lenzi), con Jean Sorel e Carrol Baker, dove è il chirurgo che opera la protagonista Helene.


...poi dimette Helene / Carrol Baker

 

Il 1971 gli portò uno dei ruoli forse più importanti della sua intera carriera, anche per il successo che ebbe il film: fu Carlo Morosi in “4 mosche di velluto grigio” di Dario Argento, dove il suo nome comparve in cartellone e dove morì per ben due volte: la prima in un teatro colpito dal coltello che lui stesso brandiva contro il protagonista, il batterista rock Roberto Tobias (più avanti si scoprirà essere un coltello cinematografico e Morosi connivente con il persecutore di Tobias che aveva organizzato la messinscena); la seconda, stavolta sul serio, strangolato proprio dal misterioso persecutore-assassino che alla fine si rivelerà essere… (omissis).

la scena cult dell’uccisione (simulata) di Carlo Morosi
la morte ‘vera’

 

Dopo l’esperienza con Dario Argento, Calisti lavorò con Damiano Damiani che gli concesse una parte in “Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica“: un piccolo ruolo come malavitoso, addirittura col nome di Calisto!

a destra, Calisto ‘picciotto’

 

L’annata cinematografica proseguì con un altro ruolo da Ispettore in “Un posto ideale per uccidere” (di Umberto Lenzi) a fianco di Irene Papas e Ornella Muti e con un ultimo ritorno al western come il capo ad Eagle Pass in “Indio Black, sai che ti dico: sei un gran figlio di…” (di Gianfranco Parolini).

Termina il 1971 come Colonnello della Legione Straniera in “Il sergente Klems” (di Sergio Grieco)

Il sergente Klems e il Colonnello Calisto Calisti

 

L’anno successivo gli impegni si riducono: compare relegato in una particina come “impiegato della pompa di benzina” in “Il vero e il falso” con Paola Pitagora e Massimo Girotti (quando non era ancora Terence Hill); poi però spicca come Psichiatra in “Quante volte… quella notte” (di Mario Bava).

Calisto Calisti… Psichiatra

 

Addirittura un solo impegno nel 1973 nel film “Revolver” (di Sergio Sollima) )  con Oliver Reed, Fabio Testi e Agostina Belli; Calisti è il Maresciallo Fantuzzi.

 

Torna nel 1974 ad essere un malavitoso, Malacrìa, a fianco del boss don Francesco ‘Frank’ Salvatore (Gabriele Ferzetti) nel film “Fatevi vivi, la Polizia non interverrà” (di Giovanni Fago).

Malacrìa e il suo boss

 

Per quello che rappresenta il suo ultimo impegno artistico, tornò alla RAI, dove nel 5° episodio della miniserie “Una città in fondo alla strada” con Massimo Ranieri, interpreta il padre di Chiara, la ragazza con cui Lupo/Ranieri affronta le peripezie di un viaggio in moto dal sud al nord dell’Italia per trovare lavoro e emanciparsi.

 

Una scena di “Una città in fondo alla strada”

 

Le riprese terminarono alla fine dell’estate del 1974 e lo sceneggiato sarebbe poi andato in programmazione nel luglio del 1975.  Calisto non si sarebbe rivisto sul piccolo schermo perché pochi mesi dopo l’ultimo ciak, il 16 ottobre del 1974, ad appena 49 anni, moriva a Roma dopo una breve malattia.

Riposa nel Cimitero di Esanatoglia, insieme alla sua famiglia.  Lo ricordiamo con simpatia e affettuosa ammirazione. Calisto Calisti, attore esanatogliese.

3 Replies to “Calisto Calisti, attore”

  1. Nello ha detto:

    Sei forte Pino, grande e interessante ricerca

  2. monica pennesi ha detto:

    fantasmagorico!

  3. monica pennesi ha detto:

    forte!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *