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Esanatoglia “piccola patria” 1943-1945

Dopo il ricordo del Maestro Maurizio Scaparro (vedi Un grande del teatro e… Esanatoglia), il Prof. Fulvio Scaparro, suo fratello, mi ha inviato una mail che trascrivo:

il Prof. Fulvio Scaparro

 

Caro Pino,

non so come ringraziarti non solo per il ricordo di Maurizio sul tuo blog ma per le notizie sulla mia famiglia che stai raccogliendo con tanta perizia. Trasmetterò il frutto del tuo lavoro a mio figlio Fabrizio, avvocato a Milano, e a mia moglie Giulia, affinché conservino le preziose memorie che racconti.

Un abbraccio riconoscente.

Fulvio Scaparro

Con un post scriptum mi ha anche indirizzato all’ultimo suo lavoro (“Il senno del prima”, Salani Editore, 2022 – che consiglio come lettura veramente preziosa, profonda e allo stesso tempo leggera, rasserenante) facendomi notare che alcune pagine sono proprio dedicate alla sua infanzia a Esanatoglia. “Ti autorizzo fin d’ora a pubblicarle, se vorrai, sul tuo blog”, mi ha aggiunto.   Per me, un’occasione da non perdere e un vero piacere.

Da “Il senno di prima” di Fulvio Scaparro

Tratto dal capitolo VI “Bambini in fuga” sul rapporto tra i bambini e la tragedia della guerra e dello ‘scudo materno’ che mitiga l’orrore con quella capacità istintiva, analizzata dal pediatra e psicanalista Donald Winnicott (funzione di holding), di ‘con-tenere’ le angosce connaturate all’infanzia.  Uno ‘scudo’ che, come Scaparro racconta, sua madre Ada Censi seppe rendere impenetrabile ai peggiori orrori della guerra tanto da rendere sfumati e a volte imprecisi alcuni particolari del suo soggiorno esanatogliese.  Forse non sarà solo per l’efficacia dello ‘scudo’, ma anche per l’età in cui l’esperienza fu vissuta e per il tempo poi trascorso, ma ciò che conta, al di là della precisione del racconto, è sapere che per quei “bambini in fuga”, che sarebbero poi diventati uno, Fulvio, un illustre psicologo (in particolare dell’età evolutiva) e l’altro, Maurizio, una dei principali artefici del teatro italiano tra il secondo Novecento e i primi decenni del nuovo millennio, Esanatoglia fu un accogliente rifugio, un riparo sicuro e… una “piccola patria“.

Questo scrive Fulvio Scaparro:

Sul tema ho da riferire anche un’esperienza personale di cui ho ricordi molto vividi. Dall’età di cinque anni sono stato un bambino prima in fuga e poi sfollato. Sto parlando degli anni dal 1942 al 1945 quando non avevo un Winnicott che si occupasse di me ma solo mia madre, una zia, un fratello, maggiore di cinque anni, e un cuginetto di tre. Non c’erano più uomini adulti in questo gruppo familiare perché, per non coinvolgerci, vivevano lontani, impegnati a sopravvivere alle conseguenze della caduta del fascismo che aveva azzerato la loro posizione sociale precedente alla guerra.

Posso quindi dare testimonianza in prima persona del peso decisivo che la presenza di una madre accanto ai propri figli può avere, almeno in parte, filtrando o attutendo il loro impatto con le terribili esperienze della guerra. Io e mio fratello fuggimmo da Tripoli in aereo prima che vi arrivassero gli inglesi vincitori della battaglia di El Alamein.

Arrivammo a Roma dove ci sistemammo in qualche modo fino all’inizio dei bombardamenti alleati sulla capitale. Giù ammucchiati nelle cantine, gli adulti con le orecchie tese per capire dove sarebbero cadute le bombe, io rannicchiato accanto a mia madre e mio fratello giocherellando con la torcia dinamo che facevo fatica ad azionare con una sola mano.

Fummo presto costretti a sfollare insieme a mia zia e al cuginetto verso le Marche, dove un tempo la famiglia delle due sorelle, marchigiane di nascita, aveva proprietà terriere e ancora qualche appoggio di parenti alla lontana e di anziani contadini che avevano lavorato per la loro famiglia in tempi lontani. Era il periodo in cui migliaia di famiglie italiane sfollavano dalle città minacciate dagli eventi bellici cercando rifugio nelle loro ‘piccole patrie’, i paesi di origine in pianura o in montagna sparsi qua e là nella penisola. Posso solo immaginare lo stato d’animo delle donne del mio piccolo gruppo familiare, sole, con la responsabilità di tre bambini, alla ricerca di una casa dove vivere in quegli anni bui. A distanza di tempo ho capito che uno dei grandi meriti di queste due donne è stata la loro capacità di non trasmettere disperazione e paura a noi bambini.

La guerra infuriava nelle Marche, anche se con modalità diverse da quelle che avevamo vissuto in Libia e a Roma. Dopo qualche mese di relativa tranquillità, che ricordo con nostalgia per i giorni trascorsi sempre all’aria aperta giocando con gli amici o vivendo la vita dei campi sotto la guida di qualche contadino, la guerra si presentò nella sua veste più dura. Arrivarono i tedeschi ritirata, ci furono rastrellamenti alla caccia di partigiani, due dei quali furono trovati, fucilati sul posto e i loro corpi appesi nella pubblica piazza. Durante il coprifuoco pattuglie giravano per il paese sparando contro qualunque finestra illuminata e uccidendo in questo modo anche un uomo al quale ero affezionato – lo chiamavo ‘zio’ – perché mi portava in campagna sulla sua Guzzi, esperienza indimenticabile.

Sempre tra la tragedia e noi si alzava il muro protettivo elle madri che cercavano di non farci vedere ciò che avrebbe potuto spaventarci oppure, quando era impossibile nasconderci le conseguenze peggiori della guerra, cevano in modo di allontanarci dalla scena o minimizzavano la situazione raccontandoci versioni dell’accaduto che finivano inevitabilmente, se non con un lieto fine, con parole di speranza. Subimmo anche una perquisizione in casa che mise a dura prova l’autocontrollo di zia e mamma. Un soldato tedesco, armato di tutto punto, bussò con violenza alla porta. Voleva sapere se avessimo i in casa e dove fossero gli uomini. Qui mia madre e mia zia diedero il meglio di sé. Cercarono di apparire tranquille e perfino ospitali, offrirono un caffè e un po’ di pane, riuscirono non so in che modo a spiegare al soldato che gli uomini erano rimasti a Roma e che loro non solo non avevano armi ma che non avrebbero nemmeno saputo cosa farne. Aprirono le stanze al soldato che si guardò intorno e parve soddisfatto di ciò che vedeva. Se ne andò salutato con cordialità da mamma e zia che, appena chiusa la porta, si abbracciarono sopraffatte dall’emozione per il pericolo scampato. Per fortuna il soldato non aveva chiesto di vedere la soffitta. Lì avrebbe trovato tre fucili da caccia e molte cartucce, lasciate lì dal simpatico ‘zio’ che mi aveva iniziato alla motocicletta. Se il tedesco le avesse trovate non ci sarebbe stato scampo per le mie donne coraggiose.

Poi arrivarono gli americani e, poco dopo la notizia della liberazione di Roma, venne a prenderci il marito di mia zia che si era procurato un piccolo furgone a tre ruote dove riuscì non so come a stiparci tutti. Il viaggio fu lungo e faticoso attraverso strade disastrate e ancora non molto sicure. In una salita dovemmo scendere tutti e trovare nelle vicinanze un contadino che per pochi soldi attaccò il veicolo a un paio di buoi portandoci fino in cima. Lungo il percorso vedemmo in almeno due occasioni due cadaveri sul ciglio della strada che le madri si affrettarono a definire ‘persone addormentate’ per non spaventarci. Anche questo viaggio, benché estenuante, noi bambini l’abbiamo vissuto come un’avventura. La realtà della perquisizione, dei drammi vissuti dal paese e del lunghissimo viaggio di ritorno, l’abbiamo conosciuta anni dopo. A noi bambini era rimasta la memoria di un periodo nell’insieme piacevole anche se turbato da qualche raro cedimento emotivo delle madri quando non ce la facevano più a fingere sicurezza e ottimismo per il futuro. Solo molto più tardi avremmo apprezzato la potenza dello scudo materno.

Lettera al Podestà con cui Corrado Censi si riserva l’utilizzo del
suo appartamento “che verrà nei prossimi giorni occupato dai miei familiari che sfollano dalla Capitale”

Mi lascio una notazione personale, che un po’ mi emoziona perché racconta l’ineffabile vorticoso ricircolo delle vicende umane. Nella casa che ospitò quei “bambini in fuga“, l’ho già scritto, oggi vivo io. Ancor più emozionante è che stia scrivendo di questo proprio in una stanza che, per quanto rinnovata, è la stessa soffitta che nel ’44 nascose ai nazisti armi e cartucce. Così, per dire.

2 Replies to “Esanatoglia “piccola patria” 1943-1945”

  1. Annapaola Temperini ha detto:

    Caro Pino, questa mattina mi ha fatto molto piacere leggere questa storia, della quale non avevo ma sentito parlare.

    • PinoBart ha detto:

      Grazie Paola, le vite, la nostra e degli altri, una riserva inesauribile di storie.

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