cuparózzu

La canicola dell’ultima estate ha favorito il riemergere di questa parola, all’apparenza aspra: può sembrare riferirsi alla cupa figura dell’ostico e temuto ariete, l’arózzu appunto, che invece non c’entra nulla. Dalla voce dialettale antica cupare, rendere più profondo, scavare più a fondo (Battaglia); mentre in altri dialetti vicini, come il camerte, viene dato come “scoscendimento pericoloso” (De Martella), per noi è la pozza di un corso d’acqua, laddove, per fenomeni naturali o intervento dell’uomo, il letto del fiume si abbassa e sprofonda offrendo nei periodi di magra, in cui trattiene una discreta quantità di acqua mentre il resto dell’alveo si prosciuga, ospitalità a pesci e anfibi, refrigerio ad altri animali e, volendo, anche svago alle persone.

Mentre in tanti ancora ricordiamo li prati de Le Vene (in verità piuttosto scarsi in quanto a cuparózzi) come “la spiaggia di Esanatoglia” per la tipica usanza di andare a prenderci il sole e a farvi vita balneare spicciola e alla buona (questo fino alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, con una cauta ripresa, dopo la ripulitura dei prati lungo il fiume, intorno ai primi anni ’90), il tempo ha invece cancellato il ricordo di precedenti analoghe usanze che, disciplinate secondo i rigori dell’epoca, si svolgevano in luoghi che non t’aspetti.

Fosso di San Giovanni

Oggi, per molti mesi all’anno è in secca, mentre mezzo secolo fa, in quel periodo in cui ci si era liberati dall’infanzia e non ancora irrigiditi dalle turbe della prima adolescenza e quello era uno dei luoghi prediletti di vita ‘vissuta pericolosamente’, lo ricordo asciutto solo per un paio di mesi estivi (è comunque un torrente e non sarà certo un caso che anticamente si chiamasse Rigo Secco (Rigum Siccum negli Statuti del 1324). Dal prosciugamento totale si salvavano solo li cuparózzi, dove per il nostro sollazzo trovavano rifugio gammeri, lasche, rane, rospi, tritoni, salamandre e certi sérpi niri lunghi na settimana, in attesa che con le prime piogge agostane il torrente tornasse al corso normale. Il tutto in pochi metri quadri. Per noi, il più noto e frequentato, forse perché anche il più vicino al paese, era lu cuparózzu de Fazio che ci garantiva anche il fascinoso rischio di essere rincorsi e sfugati dall’arcigno proprietario (in realtà amabilissima persona) che non voleva si attraversasse il suo campo. Alternative altrettanto valide, sia per dotazione d’acqua e quindi di fauna, sia per l’attrattivo rischio di incorrere nella medesima ira dei relativi proprietari dei campi attraversati, erano lu cuparózzu de Fausto de Copertó, sempre nei pressi de lu ponte de Sagnoanni, poi lu cuparózzu de Chiappa e lu cuparózzu de Mondinu, ma questi oltre il Cimitero, in ‘terre lontane’ e di ‘dubbia ospitalità’, per noandri munélli una sorta di ‘hic sunt leones’. Una estate particolarmente siccitosa, dovrebbe essere quella del ’65, ci toccò assistere al prosciugamento anche de li cuparózzi. Una catastrofe planetaria. Resistette solo lu cuparózzu de Fazio che divenne una novella Arca di Noè.

‘Stazione balneare’

Certamente più consistente dovrà essere stata la dotazione d’acqua allorché ne veniva disciplinato l’uso per la pubblica balneazione. Siamo nella prima metà del XIX° secolo, più precisamente nel 1863 (ma si parla di “consuetudini“, per cui l’usanza è di certo precedente) e ai calori dell’estate ed alla voglia di ‘evasione’ si risponde con i bagni nel Torrente San Giovanni (ovvero lu Fossu de Sagnoanni), ovviamente me li cuparózzi.

Il tutto veniva disciplinato, con la fondamentale accortezza di separare i maschi dalle femmine, secondo questo disciplinare:

bagni al fiume
Avviso a firma del Sindaco Agostino Giovagnoli

Ne trascrivo il contenuto:

Provincia di Macerata – Mandamento di Matelica

Il Sindaco di Esanatoglia

Avviso

Avvicinandosi l’epoca in cui si suole anche in questo territorio bagnarsi nelle acque, il sottoscritto nell’interesse della sicurezza della persone, e de’ buoni costumi ed in conformità del prescritto dell’art. 120 della Legge 13 novembre 1859 sulla Pubblica Sicurezza, crede prudente di determinare quanto segue:

1° Il luogo per i Bagni è fissato il fiume detto di S.Giovanni

2° Per gli Uomini sono stabiliti i giorni Martedì, Giovedì, Sabato, Domenica, per le Donne i giorni di Lunedì, Mercoledì e Venerdì di ogni settimana durante il tempo de’ Bagni.

I contravventori a quanto sopra incorreranno nelle pene di Polizia comminate dall’art.140 di detta Legge, che sono gli arresti da un giorno fino a cinque giorni da scontarsi nelle Carceri del Mandamento, e l’ammenda consistente nel pagamento all’Erario di una determinata somma non minore di Lire due, ne maggiore di Lire cinquanta.

Si invita la forza pubblica ad invigilare onde la preannunciata prescrizione venga pienamente osservata.

Esanatoglia li 27 Giugno 1863.      Agostino Giovagnoli 

 

 

Ognuno a piacimento può immaginare scene lungo le sponde del San Giovanni.  Qualcuno potrebbe intravedere file ordinate di bagnanti, ligi alle norme e/o intimoriti dalle pene previste, nella massima riservatezza immergere cautamente le membra nelle fresche acque e dopo breve refrigerio e oculata abluzione ritrarsi con  garbo e compostamente tornare alle abituali occupazioni.  A me viene da sospettare altro scenario. I bagni rappresentavano, ancor prima che uno svago, anche una salutare e necessaria pratica igienica, dato che le case non avevano acqua corrente. Ma la promiscuità, obbligata dagli spazi tutto sommato ristretti, non poteva certo evitare che la componente ludica (la jòca) tendesse a prevalere.  Occasione troppo intrigante.  L’utenza principale sarà senz’altro stata quella giovanile e per quanto a quei tempi, a differenza d’oggi,  la vita ti obbligava a crescere in fretta, nonostante la moderna endocrinologia non fosse ancora nata, gli ormoni (sia maschili che femminili) esistevano ugualmente e in giovane età impazzavano come sempre han fatto.  Pertanto immagino che i nostri trisavoli, avvezzi ad un’esistenza che per i più era assai dura, abbiano vissuto momenti di particolare vivacità in quelle occasioni, e tra frizzi e lazzi, complice l’acqua de li cuparózzi, abbiano scritto, a mente, pagine indimenticabili della loro vita.

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